Valutazione dell’impatto clinico, economico etico ed organizzativo dell’introduzione di una nuova tecnologia sanitaria, Ingenolo Mebutato, nel trattamento della cheratosi attinica in Italia

Anno: 2013 - Vol: 2 - Num. 9

Walter Ricciardi, Flavia Kheiraoui, Chiara de Waure, Andrea Poscia, Gianluigi Quaranta, Chiara Cadeddu, Maria Lucia Specchia, Anna Maria Ferriero, Emanuela Lovato, Agostino Mancuso, Maria Luisa Di Pietro, Sergio Di Matteo, Giacomo Bruno

Elementi chiave per il decisore

La Cheratosi Attinica (AK) è una neoplasia cutanea in stadio iniziale ed è considerata un carcinoma squamocellulare (SCC) in fase precoce.

L’esposizione prolungata e cumulativa alle radiazioni solari (UVA-UVB) rappresenta il principale fattore di rischio della patologia, tanto che le lesioni sono più frequenti nelle zone maggiormente esposte al sole, come viso, cuoio capelluto e dorso della mano.

La malattia si manifesta più frequentemente in soggetti predisposti, di carnagione chiara e di età avanzata; oltre alla fotoesposizione cumulativa, altri fattori di rischio della patologia sono il fototipo cutaneo, fattori genetici e la condizione di immunosoppressione cronica. A livello mondiale la prevalenza della AK è molto variabile in funzione del fenotipo e della latitudine. In Italia la prevalenza della malattia è pari all’1,4% nella popolazione adulta con età superiore ai 45 anni, interessando quindi circa 400 mila individui.

La letteratura scientifica riporta evidenze circa la presenza di un continuum di progressione genetica, clinica ed istologica tra AK e SCC invasivo, principalmente associato all’esposizione alla luce ultravioletta. Si stima, infatti, che la AK possa progredire nella forma invasiva del SCC con un rischio che può raggiungere il 20% all’anno. I dati suggeriscono che circa il 65% dei SCC originano dalla AK e una AK concomitante o addirittura contigua è stata segnalata molto spesso, con una frequenza che varia dal 65% al 97%, negli individui con SCC.

La AK può presentarsi come lesione singola o, più frequentemente, come lesioni multiple su cute fotodanneggiata, dove sono presenti alterazioni neoplastiche dei cheratinociti nell’ambito di un contesto noto come campo di cancerizzazione. All’interno di un campo di cancerizzazione non è possibile prevedere quale AK progredirà nella forma invasiva né in quali tempi, quindi il trattamento non deve essere limitato alle singole lesioni, ma deve essere esteso a tutto il campo di cancerizzazione, per prevenire l’invasione della membrana basale e le metastasi e abbattere quindi la mortalità.

Per il trattamento della AK esistono strategie terapeutiche dirette alla singola lesione, come la crioterapia, l’escissione chirurgica e il curettage, e altre dirette al campo di cancerizzazione, che si avvalgono di farmaci topici, come diclofenac sodico 3% in 2,5% di acido ialuronico e imiquimod 5%, o della terapia fotodinamica (PDT) e del peeling chimico. La terapia diretta al campo di cancerizzazione è considerata più appropriata in caso di lesioni multiple ma anche come approccio cautelativo in caso di lesioni singole perché, trattando anche le lesioni subcliniche, permette di contrastare il processo di cancerogenesi che interessa le aree peri-lesionali.

La scelta della terapia può variare in base alla valutazione del numero e delle caratteristiche delle lesioni e delle esigenze del paziente in funzione di età, comorbilità, storia personale di precedenti lesioni di tipo canceroso ed eventuali terapie pregresse. Nell’impostazione terapeutica è importante tenere in considerazione la scarsa aderenza al trattamento topico che, in ambito dermatologico, raggiunge valori del 30-50%. A ridurre l’aderenza ai farmaci topici attuali (diclofenac sodico 3% e imiquimod 5%), concorrono la durata del trattamento, che può variare da 30 a 90 giorni, e l’insorgenza di reazioni cutanee locali, che persistono per tutta la durata di applicazione del trattamento. Le terapie ambulatoriali, d’altronde, (crioterapia, PDT, curettage, chirurgie) non sempre sono efficaci e comportano spesso accessi ripetuti alle strutture sanitarie, con conseguente aumento di costi per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e disagi per il paziente. Questi elementi rappresentano i maggiori limiti delle attuali terapie e la possibilità di intervenire su questi aspetti consentirebbe di migliorare l’aderenza del paziente al trattamento e, quindi, l’efficacia clinica della terapia stessa.

Ingenolo mebutato, oggetto di questa valutazione HTA, è un principio attivo estratto dalla linfa della pianta Euphorbia peplus recentemente approvato in Europa per il trattamento cutaneo della AK non ipercheratosica e non ipertrofica negli adulti (ATC D06BX02).

Ingenolo mebutato presenta delle caratteristiche che gli consentono di colmare alcuni gap e limiti di successo delle attuali terapie.

La bassa frequenza di somministrazione e la breve durata di trattamento (1 volta/die per 2/3 giorni), così come reazioni cutanee locali di entità lieve/moderata e di breve durata, che raggiungono la massima espressione quando il ciclo di trattamento si è già concluso, consentono di ottenere un’aderenza pari al 98,2%, con indubbi vantaggi del nuovo farmaco rispetto a tutte le attuali opzioni terapeutiche. Ingenolo mebutato agisce localmente con un duplice meccanismo di azione, inducendo morte cellulare diretta e risposta immunitaria nella sede di applicazione, senza assorbimento sistemico.

Il farmaco è stato studiato per l’applicazione sul campo di cancerizzazione ed è disponibile in due dosaggi specifici in base alla sede anatomica da trattare: 150 mcg/g, per viso e cuoio capelluto (durata di trattamento: 3 giorni), e 500 mcg/g, per tronco ed estremità (durata di trattamento: 2 giorni).

Il programma clinico di sviluppo del farmaco ha coinvolto 2.405 pazienti, 1.700 dei quali trattati con ingenolo mebutato. I tassi di clearance totale sono risultati significativamente superiori nei soggetti trattati rispetto a coloro che hanno ricevuto placebo: 42,2% vs 3,7% nei pazienti con lesioni su viso e cuoio capelluto; 34,1% vs 4,7% nei pazienti con lesioni su tronco ed estremità. La riduzione del numero di lesioni è risultata significativamente superiore nei pazienti in trattamento con ingenolo mebutato rispetto al placebo con valori rispettivamente dell' 83% vs 0%, per viso e cuoio capelluto, e del 75% vs 0%, per tronco ed estremità. Lo studio di follow-up a lungo termine (12 mesi) ha messo in evidenza una riduzione percentuale delle lesioni rispetto al basale dell’87,2% per il viso e lo scalpo e dell’86,8% per il tronco e le estremità e ha confermato un buon profilo di sicurezza e tollerabilità nel tempo.

L’efficacia comparativa delle diverse alternative terapeutiche utilizzate per la cura della AK è stata valutata tramite studi di confronto indiretto. Una recente network metanalisi di Gupta e collaboratori, ha fornito dati di efficacia comparativa delle diverse opzioni terapeutiche, tra cui la terapia farmacologica topica a base di diclofenac sodico 3%, imiquimod 5% e ingenolo mebutato, e la terapia chimico-fisica distruttiva (crioterapia e PDT). Dall’analisi effettuata si è inoltre evinto come la sede anatomica delle lesioni influenzi l’efficacia dei trattamenti. La valutazione dell’efficacia su viso e cuoio capelluto, considerando i soli farmaci utilizzati in Italia, evidenzia come in tali sedi ingenolo mebutato mostri un’efficacia superiore rispetto alle alternative terapeutiche utilizzate. Il ranking di efficacia per viso e cuoio capelluto vede ingenolo mebutato superiore rispetto a imiquimod, a sua volta superiore rispetto a placebo.

Relativamente alla localizzazione al tronco ed estremità, imiquimod è risultato superiore rispetto a ingenolo mebutato. Tuttavia, imiquimod non è indicato per tale regione, pertanto ingenolo mebutato rimane il solo trattamento efficace tra quelli analizzati ed indicati per il corpo.

Un’analisi di costo-efficacia condotta nella prospettiva del SSN ha considerato ingenolo mebutato e i trattamenti di maggiore impiego in Italia, crioterapia e PDT. L’analisi ha mostrato che ingenolo mebutato 150 mcg/g (viso e scalpo) è costo-efficace con un rapporto incrementale di costo-efficacia (ICER) pari a 6.852 euro per anno di vita guadagnato aggiustato per la qualità (QALY) rispetto alla crioterapia. Tale ICER risulta più favorevole rispetto a quello della PDT e di ingenolo mebutato 500 mcg/g nei confronti della crioterapia. Si può concludere, quindi, che, al prezzo proposto, ingenolo mebutato 150 mcg/g risulta la terapia di elezione dal punto di vista farmacoeconomico.

L’analisi di budget impact ha mostrato che, a seguito dell’introduzione nel mercato del nuovo farmaco, lo spostamento di alcuni pazienti dalla crioterapia e dalla PDT verso ingenolo mebutato non determina un incremento di spesa per il SSN, bensì un risparmio di circa 580 mila euro in un anno, pari alla riduzione del 4,4% della spesa attuale per la AK.

Nella scelta del trattamento, le linee guida convergono sull’esigenza di contemplare elementi di carattere sia clinico (tra cui le caratteristiche della/e lesione/i, la localizzazione, le caratteristiche del paziente) che organizzativo (necessità di un caregiver, autosufficienza, distanza dalla struttura ospedaliera, capacità di condurre trattamenti con periodi di sospensione e ripresa). A tal riguardo si ritiene che, ingenolo mebutato, presentando un buon profilo clinico in termini di aderenza e di riduzione clinicamente significativa del numero delle lesioni cancerose anche a lungo termine, ed essendo un farmaco topico autosomministabile al proprio domicilio senza richiedere la necessità di prestazioni di tipo ambulatoriale, superi i principali limiti degli attuali competitor con notevoli vantaggi organizzativi e gestionali oltre che clinici.

Da un punto di vista etico, considerati i dati di efficacia, aderenza, sicurezza e impatto economico, l’uso di ingenolo mebutato è giudicato positivo.

Sulla base delle evidenze fin qui discusse, si può concludere, quindi, che ingenolo mebutato, avendo un’efficacia significativa e persistente nel tempo, capacità di trattare tutto il campo di cancerizzazione, uno schema posologico facile (solo 2 o 3 giorni di applicazione), un regime di somministrazione domiciliare, reazioni cutanee locali di entità lieve/moderata e di breve durata e tassi di aderenza alla terapia prossimi al 100%, rappresenta una valida opzione terapeutica con indubbi vantaggi rispetto alle terapie oggi disponibili, sia topiche che ambulatoriali.